Presentazione della mostra "Quiproquò" di Francesca Zucca
di Viviana Gasparella
Per parlare della Pittura di Francesca Zucca partirò da lontano, dal pensiero illuminante di Marshall Mac Luhan. Mac Luhan, sociologo canadese attento studioso dei media, riteneva fosse importante guardare ai media non tanto analizzando i contenuti da essi veicolati, quanto valutando i criteri strutturali sui quali essi basano l'organizzazione della comunicazione.
Il pensiero di Mac Luhan si può riassumere nel famoso motto "il mezzo è il messaggio", nel quale egli enuncia, analizzando l'impatto sulla società delle varie forme di comunicazione mediatica (a partire dalla stampa a caratteri mobili), che "il mezzo non è mai neutro", il che significa che lo stesso contenuto diffuso da differenti media avrà differenti ricadute sul ricevente, variandone la forma mentis in maniera inconsapevole ma pervasiva. Egli, ricorrendo alla figura retorica dell'Antifrasi, divide i mezzi di comunicazione in due categorie: media caldi e media freddi, dove per "caldi" è da intendersi "a basso livello di partecipazione dell'utente" mentre per "freddi" è da intendersi il contrario, cioè un alto livello partecipativo da parte di chi fruisce del mezzo. Nella tipologia dei mezzi "caldi", restringendo il campo di indagine alla sottocategoria rappresentata dai mezzi che si avvalgono della comunicazione visiva, rientra perfettamente la televisione, la quale non inventa nulla ma attesta semplicemente la concezione comune della realtà, rassicurando i suoi spettatori ma rendendoli, al suo cospetto, totalmente passivi sia sul piano fisico che su quello mentale; della seconda tipologia, giusto per fare una distinzione, fa parte invece il web, il quale necessita dell'attività dei suoi utenti per vivere ed espandersi.
La televisione, oggi, rappresenta inoltre un mondo nel quale le immagini sovraffollano le menti, in un incessante correre che altro non riflette se non la frenesia della vita quotidiana di ciascuno di noi, almeno nel mondo occidentale.
In base a tale distinzione, in quanto medium oramai secolarizzato della comunicazione visiva, dove si colloca la Pittura? Risponderò così, da pittrice.
La Pittura è lenta, sia nella sua fase di ideazione che in quella di produzione, e dovrebbe esserlo anche -e soprattutto- nel momento della sua fruizione: la sua pratica è in totale controtendenza rispetto al panorama della comunicazione tecnologica, tanto da poter assurgere ad atto politico di Resistenza. Ma resistenza a cosa?
Resistenza alla più grande e maggiormente taciuta coercizione che tutte le nostre vite, ciascuna a suo modo, oggi subiscono: il furto del Tempo, di quello che i greci chiamavano Kronos, il tempo quantitativo e, ancor peggio, di quello che chiamavano Kairos, nella sua accezione qualitativa.
In questi tempi senza tempo della società dell'immagine (o, come qualcuno ha ben precisato, dello Spettacolo), le immagini, per emergere dal mare magnum di forme e colori frenetici e rimanere minimamente impresse nella mente dello spettatore devono pertanto riuscire a stupirci nel più breve tempo possibile, devono in sostanza scioccare, a tal punto da rendere impossibile soffermarcisi e notarne i particolari. E' noto inoltre il fatto che, quando si è sotto stato di shock, si ingenera nella mente un blocco emotivo profondo.
Ed è emotivo, direi anzi sentimentale, l'approccio che Francesca Zucca ha nei confronti dell'immagine, approccio che riflette la volontà, anch'essa in controtendenza rispetto alle pratiche odierne, di soffermarsi ad osservare ciò che nessuno ha più il tempo (né spesso oramai la volontà) e l'abitudine di andare ad indagare: i dettagli, rivelatori di sensazioni, atmosfere e trame sottese altrimenti impercettibili.
Per questa ragione il titolo che Francesca ha voluto per la sua esposizione è Quiproquò, qui pro quo, proprio perché ad uno sguardo veloce e quindi necessariamente distratto, superficiale, è quasi impossibile riuscire, di primo acchito, a decodificare e dare un senso a ciò che rappresentano le sue opere.
Queste immagini rappresentano il sentimento di un'artista che, riappropriandosi cocciutamente del proprio tempo, permette al sotterraneo fiume emotivo di emergere, astraendosi dal rumore roboante ed invasivo del mondo esterno, per riuscire a cogliere l'intrinseca poeticità contenuta nella realtà che ci circonda, stupendosi ancora nella sua scoperta e permanendo perciò in un costante afflato di ricerca, che poi altro non è se non l'unico motore della sua crescita interiore, intellettuale ed esperienziale, sia come persona che come artista.
Dalla Pittura di Francesca si capisce come ella dia importanza al momento attuale, al famoso hic et nunc perorato dalle discipline orientali, senza permettere al suo pensiero di correre avanti verso il domani o indietro, nostalgicamente, verso ciò che è già stato ieri.
E' proprio questa la sacralità insita nella Pittura: quando si dipinge si è assolutamente calati nel Presente. "Io sono colui che è", disse dio nella Bibbia a Mosè. Presente indicativo. La Pittura di Francesca è un'affermazione della propria esistenza, portata avanti con dedizione e disciplina, come forma di ribellione al furto del nostro tempo vitale e della nostra capacità di vedere, verbo la cui radice indoeuropea, -wid, è in comune con quella del verbo "sapere" in tedesco, in serbo-croato, in ceco.
Ma come opera quest'artista? Il suo lavoro consiste nell'individuare un particolare per lei evocativo, anche a livello compositivo, all'interno di un'immagine, isolandolo e trasportandolo sulla tela. Il colore si muove sulla trama in maniera informale componendo, con le sue velature e le sue spontanee concrezioni, una sottotraccia che trasfigura l'oggetto ritratto, per poi ritrovare una nuova definizione di sé attraverso la sovrapposizione di texture ripetute a tal punto dalla mano dell'artista da diventare gesto spontaneo, dal sapore calligrafico giapponese, con la ritualità che è propria dei Mandala. L'aggancio con la realtà viene successivamente ripreso con una precisazione luministica che rimanda alle intuizioni caravaggesche, creando un gioco in cui la luce vela e rivela tensioni emotive e sensualità lontane dall'assurda esibizione delle merci e dei corpi anch'essi tramutati in merce dell'immaginario istituzionale.
E' necessario, per lo spettatore, prendersi tutto il tempo di penetrare i vari piani di significato dell'immagine leggendone non i singoli elementi bensì le relazioni interne, per tradurla in qualcosa di familiare che, per dotarsi di senso, dovrà necessariamente avvalersi del bagaglio emozionale e del personale immaginario di ciascuno.
A cura di Roberto Vidali - NTWK - Network Caffè n°188 - 1 gennaio 2014
Quiproquò di Francesca Zucca
La mostra dell’artista al Twins Club 2.0 Art & Gym è organizzata da Juliet.
Fino al 20 marzo, al TWINS CLUB 2.0 Art & Gym di Trieste (via Economo 5, I piano), è visitabile la mostra “Quiproquò” di Francesca Zucca composta
da una sequenza di carte e tele incentrate su una serie di miniracconti del quotidiano.
Il lavoro di Francesca Zucca è in presa diretta e ravvicinata: prima di approdare alla tela procede per appunti e schizzi dal vero che possono richiamare alla mente gli studi analitici di Géricault. Poi, da questo culto per il dettaglio, da questo istinto realistico, l’autrice procede per velature, quasi a far sì che la stratificazione della materia, nel suo sedimentarsi e asciugarsi, possa divenire il registro di una scansione temporale chiamata a sostenere l’intero impianto dell’opera. Lo sguardo lavora sempre in piano ravvicinato, con un taglio e una incorniciatura dell’immagine che tende spesso a spiazzare
l’osservazione della scena, rendendola talvolta di difficile lettura o comprensibilità. Se si dovesse parlare di tecnica fotografica, staremmo a parlare di zoom e di lenti addizionali, un modo questo non solo per avvicinare e ingrandire l’oggetto da raffigurare, ma anche un procedimento per azzerare la profondità spaziale e per togliere solidità corporea alle singole figure, sottolineando il predominio di una liricità della pittura che sposta il tasto del
discorso dalla nota iperrealistica alla pulsione intimistica, tanto che il ragionare sul senso delle cose e sul loro aspetto fisico non è tanto dettato da
un punto di osservazione esterno e distante, quanto da pulsioni interiori che favoriscono la scelta operativa e un certo afflato partecipativo.
La mostra, organizzata dall’Associazione Juliet con il concorso di Sara residence, è stata presentata da Viviana Gasparella.
La mostra dell’artista al Twins Club 2.0 Art & Gym è organizzata da Juliet.
Fino al 20 marzo, al TWINS CLUB 2.0 Art & Gym di Trieste (via Economo 5, I piano), è visitabile la mostra “Quiproquò” di Francesca Zucca composta
da una sequenza di carte e tele incentrate su una serie di miniracconti del quotidiano.
Il lavoro di Francesca Zucca è in presa diretta e ravvicinata: prima di approdare alla tela procede per appunti e schizzi dal vero che possono richiamare alla mente gli studi analitici di Géricault. Poi, da questo culto per il dettaglio, da questo istinto realistico, l’autrice procede per velature, quasi a far sì che la stratificazione della materia, nel suo sedimentarsi e asciugarsi, possa divenire il registro di una scansione temporale chiamata a sostenere l’intero impianto dell’opera. Lo sguardo lavora sempre in piano ravvicinato, con un taglio e una incorniciatura dell’immagine che tende spesso a spiazzare
l’osservazione della scena, rendendola talvolta di difficile lettura o comprensibilità. Se si dovesse parlare di tecnica fotografica, staremmo a parlare di zoom e di lenti addizionali, un modo questo non solo per avvicinare e ingrandire l’oggetto da raffigurare, ma anche un procedimento per azzerare la profondità spaziale e per togliere solidità corporea alle singole figure, sottolineando il predominio di una liricità della pittura che sposta il tasto del
discorso dalla nota iperrealistica alla pulsione intimistica, tanto che il ragionare sul senso delle cose e sul loro aspetto fisico non è tanto dettato da
un punto di osservazione esterno e distante, quanto da pulsioni interiori che favoriscono la scelta operativa e un certo afflato partecipativo.
La mostra, organizzata dall’Associazione Juliet con il concorso di Sara residence, è stata presentata da Viviana Gasparella.
Intervista a cura di Roberto Vidali - NTWK - Network Caffè n°187 - 1 dicembre 2013
Francesca Zucca: Quiproquò
Francesca Zucca e lo stupore della pittura.
Francesca Zucca dipinge dal 2001 ed espone dal 2003. Vive tra Venezia (dove sta concludendo gli studi di specializzazione presso l’Accademia di BB.AA.) e Trieste.
Quali ritieni di dover considerare i tuoi maestri e per quali motivi?
Molte persone, fin dall’infanzia, hanno contribuito allo sviluppo del mio percorso, ma senz’altro debbo ricordare Livio Schiozzi e Carlo Di Raco. Entrambi mi hanno trasmesso l’amore per la pittura.
Quale la difficoltà di fare quadri oggi, operando nel solco di una tecnica antica e dilaniata dalle nuove tecnologie?
Personalmente non credo la pittura sia dilaniata o morta. È sempre stata e sempre sarà un adeguato mezzo d’espressione, quasi una necessità
dell’uomo. Le nuove tecnologie offrono altre possibilità che non sostituiscono o compensano il far pittura. A lungo andare credo inoltre che la pittura, a differenza dei nuovi mezzi, dai quali ci si aspetta di tutto, mantenga la capacità di creare stupore.
Le tue opere parlano sostanzialmente di miniracconti, quasi di appunti diaristici...
Sono senza dubbio degli appunti, dei momenti che voglio fermare. I soggetti però, pur essendo figurativi, non vogliono avere un valore narrativo, sono un’immagine pittorica autosufficiente, di libera interpretazione da parte dello spettatore, che attinge dal bagaglio emozionale di ciascuno.
Il mio lavoro consiste in un’indagine del particolare, cerco di cogliere ciò che può esserci di pittorico nella realtà quotidiana. Le caratteristiche dell’oggetto sono il vero soggetto, vengono da me interpretate, prese come spunto, la struttura e la luce invece rimangono come guida per una variazione sul tema. Descrivo l’accordo fra le parti: non vi è mai un soggetto centrale bensì un dialogo fra singoli elementi che nell’accostamento
e nella loro contrapposizione reciproca acquistano un carattere, determinano una forma, si caricano di una sorta
di significato.
Ma se tu dovessi sintetizzare il tuo mondo poetico con tre parole...
Ricerca, stupore e armonia.
Ritieni sia corretto inquadrare la tua opera all’interno di una storia che parte dai postimpressionisti e arriva a Domenico Gnoli?
Mi è sempre piaciuto guardare alla pittura in modo atemporale. Nello sviluppare il mio lavoro ho guardato a cose molto diverse, punti di riferimento
ad esempio sono stati Caravaggio e le illustrazioni di Ferenc Pinter, ma non mi riconosco in nessun artista in particolare.
Ho sempre sentito la necessità di creare in primis qualcosa di sincero e personale, senza rimandi diretti ad artisti o epoche. Ognuno è inevitabilmente
figlio del proprio tempo, ma la bellezza della pittura sta proprio nel fatto che la sua forza è immediata, senza bisogno di spiegazioni, universalmente comprensibile e immutabile nel tempo.
Quali sono i tuoi legami con la città di Trieste?
A Trieste sono nata e cresciuta. Ho avuto la fortuna di vivere sul Carso, dove i ritmi della vita sono ancora legati al mondo naturale, e questo senza
dubbio mi è stato d’insegnamento nella vita; come la possibilità di crescere a cavallo fra due lingue. Data la sua storia e la sua posizione la città mi ha offerto un’ottica privilegiata. Trieste inoltre ha ospitato la mia prima personale, grazie all’appoggio e al sostegno di Claudio Sivini e Claudio Martelli.
E di Trieste quali sono le cose che apprezzi di più?
Il mio apprezzamento va all’aria, al mare e alla terra a cui mi sento di appartenere per nascita, alla lingua che si mantiene tale portando con sé tradizione e umori, nonostante il passare del tempo.
Al Twins Club2.0 che tipo di opere conti di portare?
Ho in mente di allestire alternando quadri a disegni. Essendo uno spazio non propriamente espositivo è una bella sfida che offre la possibilità di ragionare sull’interazione fra il lavoro e l’ambiente, e la sua fruibilità.
Trieste ARTECULTURA
febbraio/marzo 2014 - N° 192/193 - Hammerle Editori
Testo di Walter Chiereghin
La proposta pittorica di Francesca Zucca
LA REALTA’ NEI DETTAGLI
Obbliga lo spettatore a ‘ricostruire’ il tutto, dare un senso alla porzione di realtà che trova raffigurata e trasfigurata. Sollecitando uno sguardo etico, non emotivamente superficiale. La scelta che l’artista Francesca Zucca ha operato nel selezionare i soggetti da mettere su tela per la mostra allestita a cura di Juliet Art Magazine al Teatro Miela per il secondo premio internazionale Marisa Giorgetti promosso dal I.C.S. Consorzio Italiano di Solidarietà, con l’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Emigrazione), Amnesty International e altri Enti, mira a coinvolgere denunciando la quotidianità violata come momento di annullamento della persona. “I media ci bombardano di immagini palesi, che ci obbligano a provare emozioni “consumistiche”, ha affermato Viviana Gasparella, artista a sua volta, che ha introdotto la mostra. “C’è una ricerca del dramma, dietro alle immagini mediatiche, ripetuta fino alla nausea, sbattutaci in faccia con una tale frequenza da renderci apatici, per questo Francesca ha scelto invece di lavorare sui dettagli della immagini che documentano la vita dei migranti. Ce lo ha insegnato Warhol negli anni ’60 con la sua serie Death and disaster: “Quando si vede ripetutamente un’immagine terribile, essa perde realmente qualsiasi effetto”. Francesca ha voluto provare a ravvicinare il campo della sua compartecipazione emotiva e lo ha fatto nel modo in cui lei di solito opera, ravvicinando i piani, accorciando “fisicamente” – in senso figurato - le distanze. È la condizione esistenziale pratica la vera tragedia, lo stravolgimento delle abitudini e dei gesti quotidiani che interessa l’artista: ogni brano di corpo, pur presente, non identifica quell’uomo, quel bambino o quella donna, poiché potrebbe appartenere a chiunque. Obbligando lo spettatore ad immedesimarsi.”
Nata a Trieste, Francesca Zucca ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia, conseguendo il diploma di laurea in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo, sezione Pittura. È presente in diverse esposizioni dal 2003, a Venezia e nel triveneto, ed ha proposto la sua prima personale a Trieste nel 2008, quest’anno ha esposto nella collettiva Caleidoscopio Contemporaneo al Luisi art&space, e al TWINS CLUB 2.0 Art & Gym con una personale intitolata Quiproquò, entrambe promosse dall'Associazione Juliet.
Quando racconta il suo lavoro Francesca Zucca sottolinea che :“I soggetti che, pur essendo figurativi, non vogliono avere valore narrativo, sono un’immagine pittorica autosufficiente, di libera interpretazione da parte dello spettatore, che attinge dal bagaglio emozionale di ciascuno”.
“ Lo sguardo lavora sempre in piano ravvicinato”, e “da questo culto per il dettaglio, da questo istinto realistico, - scrive il critico e curatore d'arte Roberto Vidali - l’autrice procede per velature, quasi a far sì che la stratificazione della materia, nel suo sedimentarsi e asciugarsi, possa divenire il registro di una scansione temporale chiamata a sostenere l’intero impianto dell’opera”. Riferendosi a Quiproquò, Viviana Gasparella ha messo in evidenza come: “Il lavoro consista nell'individuare un particolare evocativo, anche a livello compositivo, isolandolo e trasportandolo sulla tela. Il colore si muove sulla trama in maniera informale componendo, con le sue velature e le sue spontanee concrezioni, una sottotraccia che trasfigura l'oggetto ritratto, per poi ritrovare una nuova definizione di sé attraverso la sovrapposizione di texture ripetute a tal punto dalla mano dell'artista, da diventare gesto spontaneo, dal sapore calligrafico giapponese, con la ritualità che è propria dei Mandala. L'aggancio con la realtà viene successivamente ripreso con una precisazione luministica che rimanda alle intuizioni caravaggesche, creando un gioco in cui la luce vela e rivela tensioni emotive e sensualità lontane dall'assurda esibizione delle merci e dei corpi anch'essi tramutati in merce dell'immaginario istituzionale.”
La proposta pittorica di Francesca Zucca
LA REALTA’ NEI DETTAGLI
Obbliga lo spettatore a ‘ricostruire’ il tutto, dare un senso alla porzione di realtà che trova raffigurata e trasfigurata. Sollecitando uno sguardo etico, non emotivamente superficiale. La scelta che l’artista Francesca Zucca ha operato nel selezionare i soggetti da mettere su tela per la mostra allestita a cura di Juliet Art Magazine al Teatro Miela per il secondo premio internazionale Marisa Giorgetti promosso dal I.C.S. Consorzio Italiano di Solidarietà, con l’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Emigrazione), Amnesty International e altri Enti, mira a coinvolgere denunciando la quotidianità violata come momento di annullamento della persona. “I media ci bombardano di immagini palesi, che ci obbligano a provare emozioni “consumistiche”, ha affermato Viviana Gasparella, artista a sua volta, che ha introdotto la mostra. “C’è una ricerca del dramma, dietro alle immagini mediatiche, ripetuta fino alla nausea, sbattutaci in faccia con una tale frequenza da renderci apatici, per questo Francesca ha scelto invece di lavorare sui dettagli della immagini che documentano la vita dei migranti. Ce lo ha insegnato Warhol negli anni ’60 con la sua serie Death and disaster: “Quando si vede ripetutamente un’immagine terribile, essa perde realmente qualsiasi effetto”. Francesca ha voluto provare a ravvicinare il campo della sua compartecipazione emotiva e lo ha fatto nel modo in cui lei di solito opera, ravvicinando i piani, accorciando “fisicamente” – in senso figurato - le distanze. È la condizione esistenziale pratica la vera tragedia, lo stravolgimento delle abitudini e dei gesti quotidiani che interessa l’artista: ogni brano di corpo, pur presente, non identifica quell’uomo, quel bambino o quella donna, poiché potrebbe appartenere a chiunque. Obbligando lo spettatore ad immedesimarsi.”
Nata a Trieste, Francesca Zucca ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia, conseguendo il diploma di laurea in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo, sezione Pittura. È presente in diverse esposizioni dal 2003, a Venezia e nel triveneto, ed ha proposto la sua prima personale a Trieste nel 2008, quest’anno ha esposto nella collettiva Caleidoscopio Contemporaneo al Luisi art&space, e al TWINS CLUB 2.0 Art & Gym con una personale intitolata Quiproquò, entrambe promosse dall'Associazione Juliet.
Quando racconta il suo lavoro Francesca Zucca sottolinea che :“I soggetti che, pur essendo figurativi, non vogliono avere valore narrativo, sono un’immagine pittorica autosufficiente, di libera interpretazione da parte dello spettatore, che attinge dal bagaglio emozionale di ciascuno”.
“ Lo sguardo lavora sempre in piano ravvicinato”, e “da questo culto per il dettaglio, da questo istinto realistico, - scrive il critico e curatore d'arte Roberto Vidali - l’autrice procede per velature, quasi a far sì che la stratificazione della materia, nel suo sedimentarsi e asciugarsi, possa divenire il registro di una scansione temporale chiamata a sostenere l’intero impianto dell’opera”. Riferendosi a Quiproquò, Viviana Gasparella ha messo in evidenza come: “Il lavoro consista nell'individuare un particolare evocativo, anche a livello compositivo, isolandolo e trasportandolo sulla tela. Il colore si muove sulla trama in maniera informale componendo, con le sue velature e le sue spontanee concrezioni, una sottotraccia che trasfigura l'oggetto ritratto, per poi ritrovare una nuova definizione di sé attraverso la sovrapposizione di texture ripetute a tal punto dalla mano dell'artista, da diventare gesto spontaneo, dal sapore calligrafico giapponese, con la ritualità che è propria dei Mandala. L'aggancio con la realtà viene successivamente ripreso con una precisazione luministica che rimanda alle intuizioni caravaggesche, creando un gioco in cui la luce vela e rivela tensioni emotive e sensualità lontane dall'assurda esibizione delle merci e dei corpi anch'essi tramutati in merce dell'immaginario istituzionale.”